La pazienza
La pazienza, vestale mai sazia
L’impazienza che irrompe i corpi
E squarcia i tempi rallentati
Lì dove la luce ammanta del suo torpore
E stende la sua mano ovattata.
la pazienza
La pazienza, vestale mai sazia
L’impazienza che irrompe i corpi
E squarcia i tempi rallentati
Lì dove la luce ammanta del suo torpore
E stende la sua mano ovattata.
la domanda psichiatrica
La domanda psichiatrica, incentrata sulla comprensione della sofferenza mentale e impegnata nel tentativo di provare a sciogliere i nodi che la intrecciano, dispiega le reali potenzialità dormienti di un sapere che dovrebbe fondare prassi capaci di raschiare i pregiudizi, lo stigma, che caratterizzano il nostro modo di approcciarci a quanto si distanzia dalla norma comune; ma oltre ciò, e per fare ciò, essa deve interrogarsi sui linguaggi comuni, deve provare a definire in cosa consistano i cardini attorno ai quali noi costruiamo le nostre vite. Deve provare a cercare la verità. Non trovarla, giacché non esistono verità valide per ogni longitudine, latitudine e tempi, ma provare a circoscriverla, a pungolarla. Deve porsi, cioè, in un atteggiamento dialettico. Non sarà ciò a produrre automaticamente nuove prassi, ma certamente con ciò può divenire possibile il seminare delle alternative.
La presentazione a questo lavoro di Bleuler, scritta da Antonello Sciacchitano, prelude a tutto ciò. Penso che sarà una lettura molto interessante, ricca di spunti riflessivi e interrogativi da sollecitare.
“In cosa, si chiede Bleuler, il delirio paranoico differisce dai nostri “normali” deliri quotidiani, individuali e collettivi: le fedi religiose, che producono guerre di religione, le ideologie politiche, che producono sanguinose rivoluzioni, le superstizioni magiche, che muovono miliardi nei più disparati movimenti (omeopatia, scientology, fitness…)? In nulla, semplicemente nel grado di certezza. L’idea delirante, persecutoria o megalomane che sia,
indotta per suggestione affettiva individuale o collettiva, è paranoica per la forma, non per il contenuto; è paranoica perché è un’idea tanto certa quanto è incorreggibile. Non proviene dalla realtà empirica; forse è innata, nel senso dell’idealismo classico, e perciò nessuna realtà empirica potrà mai modificarla. La paranoia ignora il dubbio cartesiano. Bleuler tace sull’insorgere e stabilirsi della sua incorreggibilità. Tocca a noi, allora, riprendere e portare avanti il discorso sulla “psicosi intellettuale” per antonomasia, cercando di capire il mistero di come il paranoico riesca là dove l’idealista fallisce: pensare il falso con certezza.”.
Affettività, suggesionabilità, paranoia, Eugen Bleuler. A cura di Antonello Sciacchitano.
-Il falso e il vero-
Io pervengo al sapere di una cosa se sia vera per il tramite di due diverse modalità conoscitive:
1) Logica, proposizionale: gli elementi della proposizione concorrono sintatticamente nella verità logica.
2) Esperenziale: vivo/percepisco una sensazione e la rappresentazione che ne ricevo mi conferma la sua verità.
Ora, una proposizione può essere falsa e lo stesso vale per una rappresentazione.
Una proposizione è falsa se gli elementi che la costituiscono non creano semantica. Una rappresentazione è falsa nel momento in cui la percezione che io com-prendo è alterata.
Entrambe le affermazioni presuppongono che esistano degli a priori identificabili con i concetti di vero e di falso.
Esistono, ossia, degli ordini superiori (risultanti sociali), che consentono una definizione il più ampia possibile dell’estensività dei due concetti: i fenomeni giustificati sono ampi entro i limiti di una falsificazione assiomatica. Non esiste ontologicamente il vero e il falso, ma solo come apparati del sociale. Residua qualcosa. Residua il nulla, che è indefinibile. Dove si colloca il nulla nell’esperienza umana? Nel sonno della ragione, nel non sapere. Forse il nulla è fondativo. Noi siamo destinati ad esistere per sapere, sapendo di non poter sapere circa i nostri fondamenti.
Esistere, ex-fuori, sistere-stare.
In tutto ciò dove dove si colloca il falso? Nell’errore. Il falso è uno sbaglio esperibile in una condizione di stare fuori. Dove si colloca il sé? Si colloca nell’esperienza relazionale. E si radica? No, confligge nel movimento dialettico. Si presenta sempre come conflitto, come tensione.
Il sé si percepisce e si rappresenta. Ciò che chiamiamo falso è, in realtà, l’elemento dialettico senza il quale il vero non può essere rappresentato. Perché avvertiamo il falso nella sua qualità di stortura? Perché tendiamo al benessere. Se esiste un benessere, significa che esistono dei riferimenti esterni ai quali fare capo affinché esso esista.
Questi riferimenti sono sottoponibili al vaglio scientifico solo per il tramite della narrazione che si presenti sulla scena in quanto volontà di sapere.